Termine che presso gli antichi popoli Celti indicava un poeta cantore che, accompagnandosi con uno strumento simile alla lira, cantava avvenimenti storici, leggende, inni religiosi e genealogie. Sono citati sia da Diodoro che da Lucano. Dopo la conquista romana scomparvero dalla Gallia, ma sopravvissero in Irlanda, Scozia e Galles, dove mantennero vive le tradizioni celtiche. La professione del Bardo era ereditaria, ed i loro canti si tramandavano oralmente di padre in figlio. Vivevano alla corte del loro signore, del quale cantavano gli antenati e le imprese. Spesso godevano di importanti privilegi, quali esenzione dalle tasse ed attribuzione di parte dei bottini di guerra. Nel XIV secolo i re d'Inghilterra ne abolirono l'attività. Ciò nonostante la loro tradizione sopravvisse fino all'inizio del XVII secolo. Alla fine del XVIII secolo i Bardo e le loro tradizioni ritornarono in auge sotto l'influsso della concezione romantica del poeta, visto come cantore delle antiche tradizioni popolari. Il Gray riscoprì per primo la poesia bardita con la sua ode The Bard (1767), ma il più celebre rappresentante di tale genere fu Macpherson con i canti di Ossian (1760-65). Dall'Inghilterra la poesia bardita doveva poi diffondersi in Germania, che vide il suo maggior rappresentante in Klopstock. Nel 1763 Michele Cesarotti tradusse in Italia i Canti di Ossian, e vi si ebbe poi la produzione di poesie del genere, come l'Arminio del Pindemonte (1804) ed il Bardo della Selva Nera, di Vincenzo Monti (1806).