Il devanagari, la scrittura della "città degli dèi", è la più importante delle molte scritture indiane. Come molte altre scritture del subcontinente, la devanagarica è derivata dalla brahmi, un adattamento indiano di un alfabeto semitico (forse l'aramaico) penetrato in India attraverso la Mesopotamia, probabilmente intorno al 700 a.C. La scrittura devanagarica fu usata dapprima per scopi commerciali e solo in seguito applicata alle trascrizioni dei testi sacri, raggiungendo l'attuale aspetto non prima dell'VIII secolo.
Assai eleganti, splendidamente incurvate, le lettere devanagariche hanno la singolarità di essere "appese" sotto il rigo invece che sopra, dando alla scrittura sanscrita la sua particolare caratteristica e fisionomia. Al contrario dell'alfabeto latino, in cui consonanti e vocali seguono una successione casuale, l'alfabeto sanscrito ci appare splendidamente ordinato secondo precisi criteri fonologici. Inizia con le vocali, seguono i dittonghi, quindi le consonanti. Ogni gruppo è a sua volta ordinato secondo la successione del punto di articolazione.
Vocali
Nella scrittura sanscrita vi sono cinque vocali, a i u più ṛ ed ḷ vocaliche. Queste ultime due lettere sono indicate in trascrizione con un puntino posto sotto il corpo della lettera:
Le vocali possono essere sia brevi che lunghe. In trascrizione le lunghe sono distinte da un macron:
Nell'alfabeto devanagarico, le vocali hanno due forme, una iniziale più elaborata, e una seconda più semplice da usarsi allorché la vocale è articolata a una consonante. Alcune vocali hanno due forme grafiche, essendo una delle due (in questo caso la seconda) più antica e in seguito disusata.
Dittonghi
Alle vocali seguono, nell'ordine alfabetico, i dittonghi. I dittonghi brevi sono trascritti e pronunciati come semplici vocali:
I dittonghi lunghi mostrano invece, in trascrizione e pronuncia, la loro natura:
Anche qui vi sono delle diverse forme grafiche, di cui la seconda è più antica. Ci si può stupire del fatto che in sanscrito le vocali e ed o siano considerate dei dittonghi. C'è però una precisa ragione filologica, derivando e ed o da due antichi dittonghi indoeuropei pronunciati [ai] ed [au]. Si noti che e ed o sono in realtà pronunciate come [e:] ed [o:] lunghe. La ragione per cui non vengono segnalate col macron, è che, mancando in sanscrito [e] ed [o] brevi, non c'è rischio di ambiguità.
Consonanti
Il sistema consonantico del sanscrito è mirabilmente preciso. Le consonanti sono distinte in otto serie. Le prime cinque serie comprendono le consonanti occlusive, a loro volta ordinate secondo il punto di articolazione: prima le velari, poi le palatali, le retroflesse, le dentali e le labiali, seguendo un ordine di intacco che avanza dal fondo del palato alle labbra. Ogni serie è regolarmente formata da cinque lettere: sorda, sorda aspirata, sonora, sonora aspirata, nasale. Le successive tre serie riguardano invece le consonanti fricative: sibilanti, semivocali e aspirate, anch'esse ordinate secondo il punto di articolazione. Il sistema consonantico del sanscrito è mirabilmente preciso. Le consonanti sono distinte in otto serie. Le prime cinque serie comprendono le consonanti occlusive, a loro volta ordinate secondo il punto di articolazione: prima le velari, poi le palatali, le retroflesse, le dentali e le labiali, seguendo un ordine di intacco che avanza dal fondo del palato alle labbra. Ogni serie è regolarmente formata da cinque lettere: sorda, sorda aspirata, sonora, sonora aspirata, nasale. Le successive tre serie riguardano invece le consonanti fricative: sibilanti, semivocali e aspirate, anch'esse ordinate secondo il punto di articolazione.
Sono le consonanti "velari", sorda e sonora, articolate sul fondo del velo palatino. Fonologicamente corrispondono alle occlusive velari, e si pronunciano come la c e la g dure dell'italiano.
Sono le consonanti "palatali", sorda e sonora, articolate all'altezza del palato. Fonologicamente corrispondono alle affricate postalveolari, e si pronunciano come la c(i) e la g(i) morbide dell'italiano.
Sono le consonanti "cacuminali" (che i sanscritisti chiamano anche "cerebrali"), sorda e sonora. Fonologicamente corrispondono alle occlusive retroflesse, articolate tra gli alveoli e il palato, e corrispondono alla t e alla d del siciliano "motto" e "cavaddu".
Sono le consonanti "dentali", sorda e sonora, articolate all'altezza dei denti. Fonologicamente corrispondono alle occlusive dentali, e si pronunciano come la t e la d dell'italiano.
Sono le consonanti "labiali", articolate all'altezza delle labbra. Fonologicamente corrispondono alle occlusive labiali e corrispondono alle normali p e b dell'italiano.
Ogni occlusiva può presentarsi anche in forma aspirata. Abbiamo allora la serie
Ogni lettera viene pronunciata con una simultanea aspirazione, fonologicamente una fricativa glottale. Dunque th non è va pronunciare come il th inglese [0], bensì come [t] + [h]; ph non è [f], bensì [p] + [h], e così via. Inoltre, l'aspirazione è sorda o sonora a seconda che la consonante sia sorda o sonora. Da sorda, h si pronuncia come l'aspirazione iniziale della parola inglese "house", da sonora il suono rassomiglia più all'aspirazione iniziale della pronuncia fiorentina di "casa".
Se ogni serie di occlusive termina in una nasale, è perché i grammatici indiani hanno distinto le varie pronunce di n e m dal punto di articolazione. Abbiamo così una serie di cinque consonanti nasali:
Che sono rispettivamente la nasale velare, palatale, cacuminale, dentale e labiale.
La loro differenziazione dipende dell'ambiente in cui viene a cadere la consonante nasale. In pratica, la nasale è la velare n̩ quando precede le consonanti velari k g (dunque la n italiana di "manco" o "mango"); è la palatale ñ quando precede le consonanti palatali c j (la n italiana di "mancia" o "mangia"); è la cacuminale n̩ quando precede le consonanti cacuminali t̩ d̩; è la dentale n quando precede le consonanti dentali t d (la n italiana di "monto" o "mondo"); è la labiale m quando precede le consonanti labiali p b (la m italiana di "rompo" o "rombo").
Secondo la fonetica tradizionale sanscrita, le lettere
sono considerate semiconsonanti, rispettivamente palatale, cacuminale, dentale e labiale (ordinate anche qui a seconda del punto di articolazione), cosa che può parer strana soprattutto nel caso di r ed l. Ne è ragione che i grammatici indiani le hanno messe in correlazione con le vocali:
la semiconsonante palatale y corrisponde alla vocale i
la semiconsonante retroflessa r corrisponde alla vocale r ̣
la semiconsonante dentale l corrisponde alla vocale l ̣
la semiconsonante labiale v corrisponde alla vocale u
In particolare, y e v corrispondono alle semiconsonanti i e u dell'italiano "ieri" e "uovo". In particolare, la pronuncia di v è un po' più complessa, essendo passata, già in un'epoca piuttosto antica, da [w] semiconsonante alla labiodentale [v] (è questa oggi la pronuncia corrente nell'hindī). Nei nostri esempi, riportiamo la pronuncia tradizionale [w], anche se non è sbagliato pronunciare questa lettera come la normale v labiondentale italiana [v].
Le due semiconsonanti r l sono rispettivamente la vibrante dentale e la liquida dentale dell'italiano. La fonetica sanscrita considera r una cacuminale piuttosto che una dentale, forse allo scopo di mantenere l'ordine tradizionale dell'intacco delle lettere. In trascrizione diamo ad r il suo valore "ufficiale", anche se a tutti gli effetti non è sbagliato pronunciare questa cacuminale (anche perché non v'è rischio di confusione) come la normale r dentale italiana [r].
Esistono poi:
- le fricative sibilanti.
Sono rispettivamente la sibilante palatale, cacuminale e dentale (sempre ordinate dal punto di articolazione). La prima è la sc(i) italiana; la seconda è una s retroflessa, da pronunciarsi in maniera simile a sc(i) ma con la lingua tra gli alveoli e il palato; la terza è la normale s sorda dell'italiano.
- E le fricative aspirate.
L'ultima lettera dell'alfabeto devanagarico è l'aspirata
Molti testi la assimilano, erroneamente, all'aspirazione inglese di "house", ma fonologicamente la h inglese è una fricativa glottale sorda, mentre la h sanscrita è sonora, dunque pronunciata similmente all'aspirazione iniziale della pronuncia fiorentina della parola "casa". Il Sanscrito ha infatti conservato la distinzione tra le due fricative glottali, sorda e sonora. La rispettiva sorda, che cade solo in fin di parola, viene invece indicata con un segno particolare chiamato visarga.
Alla scrittura devanagarica bisogna aggiungere un'ultima consonante, una liquida cacuminale, trascritta l e lh. Presente solo nei testi vedici e foneticamente sostituita dalle cacuminali ḍ e ḍh già all'epoca di Paṇini, questa lettera non è compresa nel computo alfabetico.