Espressione di origine ebraica, derivata da Hallelu-Jah, a sua volta da hallelu, imperativo di hillel, lodare con senso di giubilo, e Jah, abbreviazione di Jahveh. Acclamazione religiosa ebraica trasferitasi poi nella liturgia cristiana. Nell’Antico Testamento ricorre negli ultimi due libri del Salterio, mentre nel testo ebraico vi sono otto Salmi con ALleluia iniziale e finale e cinque con Alleluia solo finale. Nella Vulgata esiste il duplice Alleluia soltanto negli ultimi quattro Salmi. L’Alleluia ha valore di una piccola dossologia. Il brevissimo Salmo 177 ne è una specie di commento. Sant’Agostino chiama alleluiaci i salmi con l’Alleluia. Probabilmente l’Alleluia era già introdotto nella liturgia cristiana primitiva (Apocalisse 19, 1-6). Al tempo di Sant’Agostino, l’Alleluia era diventato canto popolare dei fedeli. Nelle celebrazioni liturgiche, l’Alleluia divenne espressione rituale di giubilo, specie nella solennità pasquale. Al tempo di papa Damaso I (366-384) l’Alleluia era cantato fino alla Pentecoste. Nel rito bizantino l’Alleluia era ammesso anche in quaresima e nella liturgia funebre. Nella liturgia romana (San Gregorio Magno, 604, v.), l’Alleluia fu introdotto in tutte le messe dell’anno, eccetto in tempo quaresimale. Nella messa pasquale, dopo l’Epistola, l’Alleluia viene cantato solennemente tre volte, sia dal sacerdote officiante che dal clero.