Termine sanscrito dal significato di soffio, che nei più antichi testi indiani (Rigveda) si trova con il significato originario, mentre in seguito passò ad indicare l’anima che si incarna temporaneamente nel corpo, dai cui peccati non può essere corrotta. Alberga in tutti gli esseri umani, e rappresenta la coscienza della propria esistenza di cui ognuno è dotato. In opposizione a quanto è contingente, l’atman è l’immenso complesso delle apparenze che fluttuano intorno a noi, il tessuto stesso del mondo, composto con la trama dei nostri sogni; è l’infinito mutare delle immagini che ci fa credere a qualcosa di reale al di fuori di noi. In senso metafisico rappresentava il principio dell’essere, opposto prima al corpo e poi al non-essere. Per un naturale sviluppo cosmologico, l’atman divenne poi, nella Brhadaranyaka Upanisad, il principio essenziale del mondo, e come tale si identifica con il Brahman, in una concezione che tende ad assorbire l’anima individuale nell’anima del mondo. Secondo il Wolpert: "Molti discepoli trovarono difficile accettare l’idea che qualcosa di invisibile potesse essere l’essenza del cosmo. Tra questi Svetaketu, un giovane presuntuoso che si credeva saggio per aver studiato per dodici anni con dei brahamani tradizionalisti. Suo padre però lo istruì sulla realtà dell’atman, chiedendogli di prendere un fico: Il dialogo tra loro prosegue così: "Eccolo signore – Dividilo – L’ho diviso signore – Che cosa ci vedi? – Dei semi molto piccoli signore – Dividine uno, per favore – L’ho diviso signore – Che cosa ci vedi? – Niente del tutto, signore – In verità, mio caro, quella sottilissima essenza che non riesci a percepire, in verità, mio caro, è proprio da quella finissima essenza che nasce questo grande albero Nyagrodha (fico sacro). Credimi, mio caro, proprio quello che è la sottilissima essenza, l’intero mondo ce l’ha come sua anima. Questa è la realtà. Questo è l’atman Questo sei tu, Svetaketu"".