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Dove la magia è amore universale, umiltà e ascolto...la magia svelata, per il benessere dell'anima.E' come se in un attimo sbocciasse la vita, laddove prima c'erano solo silenzio ed immobilità.
 
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 ESOTERISMO E ISLAM

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MessaggioTitolo: ESOTERISMO E ISLAM   ESOTERISMO E ISLAM EmptyDom Mag 20, 2012 9:56 am

L’esoterismo islamico torva la sua massima espressione nel Sufismo, ma andiamo per gradi e conosciamo i “tratti esoterici” dell’Islam attraverso un articolo del Professor Salvi Piazza “La visione esoterica dell’ uomo, sia nella cultura islamica che in quella cristiana, poggia su di un principio fondamentale, espresso molto chiaramente dal Maestro Eckhart, mistico del XIV secolo: nell’anima umana esiste qualcosa di non creato e di non creabile, e se l’anima – intera – fosse tale, sarebbe al tempo stesso increata e increabile. Questo qualcosa è l’Intelletto. Ciò che contraddistingue l’essenza dell’uomo ed è al tempo stesso definito "scintilla divina". Nell’esoterismo musulmano, in particolare nel Sufismo, ritroviamo un concetto analogo: Il Sufi, che corrisponde all’Uomo Universale, è definito il "non creato". Egli è inteso come l’uomo perfetto, cioè Al-kebritu’l ahmar, lo zolfo rosso, corrispondente all’opera al rosso degli alchimisti. Per comprendere questo concetto bisogna far riferimento a quel che intendono gli alchimisti per risveglio spirituale o opera al bianco: esso consisterebbe in un processo di purificazione degli istinti, fino al raggiungimento della identificazione dell’intelletto con la luce divina o col mentale cosmico. Nell’opera al rosso ritroviamo espressi questi risultati alla massima espressione, in seguito al graduale identificarsi con la Luce stessa, Principio dell’intera manifestazione.
Un concetto cardine dell’esoterismo islamico, che ha significato nei secoli anche un profondo motivo di contrasto con il Cristianesimo, è la distinzione fra haqiqak, cioè la verità esoterica, con la shari’ah, cioè la legge exoterica. Nel mondo cristiano non appaiono ben distinte le due diverse espressioni religiose, esoterismo ed exoterismo, entrambe necessarie, sarebbero, tuttavia, per i mistici islamici percorsi ben distinti: l’esoterismo, che contiene le verità fondamentali, comuni a tutte le religioni, ma riservate a pochi eletti rappresenta un vero e proprio sentiero iniziatico, mentre l’exoterismo enuncia le verità fondamentali della fede, cioè i sacramenti o le dottrine della fede, destinate alla salvezza. Secondo gli esoteristi islamici nel Cristianesimo storico, con l’istituzione delle Chiese, si sarebbe concretizzato, quel che era il timore di Cristo stesso, manifestato nella raccomandazione: "Non date le perle ai porci!", mentre la dimensione esoterica appare ben espressa nell’esoterismo islamico, sia nella shia’h, vale a dire la tradizione religiosa affermatasi maggiormente in Persia e rappresentata dagli Ayatollah, sia in altri gruppi religiosi, meno consistenti, come quello degli Ismailiti, il cui capo è l’Aga Khan, che dà un’interpretazione assolutamente allegorica del Corano, molto vicina al neoplatonismo, in particolare a Plotino: nella sua concezione emanazionistica l’Imam stesso sarebbe l’incarnazione dell’Intelligenza creatrice del mondo. Numerose sono anche le confraternite islamiche, presenti in tutti i paesi arabi, non soltanto quella dei Sufi, che abbiamo già ricordato e che gode in Occidente di una grande fama, grazie anche alla diffusione della poesia di Rumi. Esse esprimono tutte quante una forte tendenza mistica, alla cui base si avverte l’esigenza di un’unione intima e diretta con Dio, attraverso esercizi ascetici, ripetizione di versi coranici e meditazione. A questo punto vorrei brevemente, se mi è concesso, dare qualche esempio di interpretazione esoterica delle Scritture sia in ambito islamico che in quello cristiano. Nella tradizione islamica, le sentenze del Profeta stesso, quelle definite sentenze sante, ahadith qudsiyah, si distinguono dalle altre sentenze, perché contengono verità destinate non a tutta la comunità religiosa, ma soltanto ai contemplativi. Per questi non soltanto le parole contengono diversi piani di significati, ma anche le stesse singole lettere, ed i suoni stessi delle lettere e delle parole esprimono concetti elevati. Prendiamo ad esempio i primi versi della Sura al-fatihah, quella di inizio del Corano, altrimenti detta "l’aprente": ""Lode a Dio, Signore dei Mondi, il Clemente e il Misericordioso, il Re del giorno del giudizio. Te adoriamo e in te cerchiamo rifugio, guidaci nella retta via". Nel primo verso Dio, Allah simboleggia nella sua indeterminatezza, l’Infinito nella sua assoluta trascendenza. Al Clemente ed al Misericordioso alludono, rispettivamente, con ar-Rahman, il Clemente, Dio che si manifesta secondo le sembianze del mondo, mentre con ar-Rahim, misericordioso, corrispondente alla grazia, Dio si manifesta all’interno del mondo. Sarebbero queste le tre dimensioni della Infinitudine divina. Dio come Clemente, rappresenterebbe la dimensione statica, come Misericordioso invece la dimensione dinamica. Il giorno del giudizio, yawm ad-din alluderebbe al ricongiungimento dell’uomo alla atemporalità. In essa ritorna a Dio la libertà, data semplicemente in prestito, ai singoli uomini. L’uomo verrà giudicato secondo la sua tendenza essenziale, se ciò essa è stata conforme o contraria all’attrazione divina. Solo in Dio, a proposito della libertà, coincidono libertà e atto. Nell’uomo invece questi non coincidono. Infatti l’uomo è libero di scegliere anche l’assurdo, ma nel momento stesso che ha scelto non è più libero. Non appena si agisce, nel suo stesso contenuto o oggetto, la libertà diventa infatti illusoria, tanto più illusoria quanto più contrasta con la Verità piena, che si ritrova invece solo in Dio, al di là di ogni oggetto concreto, che viene scelto ed acquisito da chi si ritiene libero. Esempio: nel momento che si sceglie un dato oggetto concreto, si rischia di restare schiavo della propria scelta, mentre chi si innalza verso scelte spirituali sempre più elevate, in realtà acquisisce sempre di più maggiore libertà. Chi si abbandona alle sue passioni finisce per restare schiavo delle sue stesse passioni. La tendenza essenziale, insita cioè nella dimensione stessa dell’uomo, altro non è che quella che porta l’uomo alla sua essenza eterna. In questo senso si intende il giorno del giudizio. L’invocazione finale a Dio che ci guidi alla retta via, intende esprimere appunto l’auspicio e l’aspirazione al ricongiungimento alla propria Essenza infinita, al di là di ogni limite spaziale e temporale. Facciamo adesso, in conclusione, un esempio di interpretazione esoterica di un passo del Vangelo di Giovanni, Cap. VIII, 58: "Gesù dice ai suoi discepoli "In verità, in verità vi dico: Prima che fosse fatto Abramo, io sono"". In realtà, secondo Rudolf Steiner, questo passo dovrebbe più correttamente intendersi come: Prima che Abramo fosse fatto era l’ "Io sono", vale a dire ogni essere umano, se ben legge nella profondità della propria anima, potrebbe scoprire o avere l’immediata coscienza del suo principio divino. L’uomo comune sente solo quello che è immediato: tutto ciò che inizia con la nascita e finisce con la morte. Ma l’iniziato ai Misteri è in grado di contemplare ciò che è visibile solo nel mondo spirituale e i discepoli eletti di Gesù erano istruiti anche con queste parole sulla loro dimensione eterna.”
Passiamo ora a conoscere un po’ meglio, anche se non in modo sicuramente esauriente ed approfondito, il Sufismo. É la corrente più esoterica e mistica della religione islamica. Vivendo in una perfetta adesione all'istante presente e in un accettazione incondizionata della realtà intesa come manifestazione di Dio, i santi e i saggi sufi arrivano a conoscere la più alta realizzazione spirituale, accedono alla coscienza della realtà ultima fino ad annullarsi in essa. Il Sufismo è la via che conduce dall'individuale all'universale, dal mondo delle apparenze all'Unità, alla Verità. I filosofi hanno scritto innumerevoli volumi e parlato senza fine della Verità, ma senza essere esaurienti. Per cui vedono solo una parte dell'Assoluto e non l'Infinito nella sua globalità. E' infatti vero che i filosofi vedono è giusto; ma non è che una parte dell'insieme. Unanimemente sappiamo che la parte corrisponde al tutto. A tale proposito si ricorda la famosa storia, raccontata da Rumi, di un gruppo di Indù che non avevano mai visto un elefante. Un giorno, giunsero in un luogo in cui ce n'era uno. Nell'oscurità completa si avvicinarono all'animale e ognuno, dopo averlo toccato, descrisse ciò che pensava di aver percepito. Naturalmente le descrizioni erano diverse. Coloro che avevano toccato la zampa dell'animale, pensavano fosse una colonna. Altri, che avevano toccato l'orecchio, dissero che era un ventaglio, altri ancora lo definirono dalla proboscide e così via. Ciascuna delle descrizioni corrispondeva esattamente alle diverse parti che ognuno aveva toccato, ma la realtà dell'insieme era ben lontana dai singoli concetti. Se avessero avuto una candela, le divergenza di opinioni non sarebbero emerse. La luce avrebbe rivelato nel suo insieme l'elefante. E' soltanto con la luce della Via spirituale e della Via mistica, che la Verità può realmente essere conosciuta. L'individuo deve divenire testimonianza della Perfezione dell'Assoluto, perché possa vedere con la vista interiore di chi percepisce la Realtà nella sua interezza. Questa testimonianza si manifesta quando si diventa perfetti, cioè quando si perde la propria esistenza parziale nel Globale. Se il tutto può essere paragonato all'Oceano, e la parte a una goccia, il sufi dice che è impossibile vedere l'Oceano con l'occhio della goccia. Tuttavia, quando la goccia si confonde con l'Oceano, può vedere l'Oceano con l'occhio dell'Oceano. Il Sufismo non prevede un sistema dottrinale omogeneo che lo caratterizzi precisamente rispetto alle altre correnti dell'Islam, e gli studiosi hanno attribuito ai diversi settori del movimento prospettive teologiche tendenti al monismo, al teismo o al panteismo. Un motivo unificante tra le varie dottrine dei sufi è forse la convinzione di godere di una speciale relazione di elezione (walaya) con la divinità, grazie alla quale sarebbe possibile stabilire una forma di comunicazione con Dio al fine di ottenere la comunione spirituale e la conoscenza della verità divina (haqiqa). Fonte di questa potenzialità è lo stato di grazia riservato da Dio stesso agli iniziati, che ne entrano in possesso mediante un lungo cammino di ascesi spirituale (maqamat) in varie tappe, da compiersi sotto la guida di un maestro (shaykh o pir) ritenuto capace di trasmettere al suo discepolo uno stato di benedizione soprannaturale (baraka). Tale benedizione sarebbe concessa alle generazioni future da Alì e dallo stesso Maometto per mezzo della successione autorevole (silsisla) di maestri illustri. L'esistenza del mondo, secondo i sufi, sarebbe garantita, in ciascuna generazione, dalla nascita di un maestro dotato della natura di "uomo perfetto" (qutb), la cui identità può essere svelata solo a quanti abbiano raggiunto lo stato del distacco da sé (fana), della dipendenza da Dio (baqa), e della conoscenza (marifa). A differenza dell'imam degli sciiti, con il quale pure condivide alcuni aspetti essenziali, come i poteri soprannaturali e il ruolo di garante dell'esistenza dell'universo, l'"uomo perfetto" del sufismo non dipende da una particolare linea di discendenza familiare e non appare come figura isolata nella sua epoca; rappresenta, al contrario, il vertice di una gerarchia di maestri venerabili, dotati in qualche misura delle sue stesse facoltà. I sufi, infatti, venerano come santi, accanto agli uomini perfetti, innumerevoli maestri del passato, fra i quali personaggi estranei alla loro dottrina e gli stessi imam sciiti. Grande importanza è attribuita alla musica e alla poesia; per quanto riguarda l'amore profano e il vino, tendenzialmente demonizzati dalla tradizione islamica, essi vengono considerati esperienze simboliche dell'amore divino e dell'estasi mistica. Fra le principali confraternite attive dal XII secolo si possono citare quelle dei marabutti e dei senussi (Sanusiya), tuttora presenti in Africa settentrionale, quelle dei dervisci, e quelle che, nel XV e XVI secolo, si avvicinarono al movimento sciita, assumendo talora anche il carattere di ordine militare, come nel caso dei safavidi, dominatori di vasti territori nell'Iran dell'inizio del XVI secolo.
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