Dal greco Apocaluyiz, rivelazione, libro profetico, ultimo del Nuovo Testamento. Il nome deriva dalle prime parole del testo (Rivelazione di Gesù Cristo). L’autore dell’Apocalisse è un Giovanni menzionato nella introduzione "Egli l’ha manifestata inviando il suo angelo al suo servo Giovanni" (1, 1). Nella prima tradizione ecclesiastica questo Giovanni veniva concordemente identificato con l’autore del quarto Vangelo; ma le profonde differenze di lingua, di stile, di contenuto fra le due opere indussero già Dionigi d’Alessandria (III secolo) a suggerire che esse appartenessero a due diversi autori. Alcuni critici moderni, specialmente protestanti, aderiscono all’obiezione di Dionigi; altri, in maggioranza cattolici, la respingono, e spiegano le innegabili differenze formali come conseguenze della diversità della materia trattata, forse anche per l’intervento di segretari diversi. Comunque tutti concordano nell’includere l’Apocalisse nella cosiddetta letterature giovannea. L’opera fu scritta a Patmos, isola del gruppo delle Sporadi (Egeo). L’epoca di composizione coincide, secondo la tradizione più accreditata, con gli ultimi anni del regno di Domiziano (81-96). L’Apocalisse è scritta in forma di messaggio alle sette chiese d’Asia, cioè, dato il significato della forma retorica usata, alla totalità delle chiese. Lo scopo del messaggio è di rincuorare la comunità cristiana che è sottoposta ad una terribile prova: dopo il magnifico sviluppo all’epoca della sua fondazione, ora la Chiesa pare seriamente minacciata nell’unità della fede (movimenti ereticali), nella purezza dei costumi (rilassamento della vita religiosa, raffreddamento della carità) e dall’imminenza delle persecuzioni. Giovanni intende sostenere il coraggio dei cristiani fino alla morte (2, 14), ed intanto li rassicura sulla presenza divina di Cristo, che sarà vincitore del Dragone. L’opera, oltre una introduzione (1, 1-8 ) ed un epilogo (22, 6-21), consta di due parti: la prima, di carattere pastorale (2, 3), contiene le lettere alle sette chiese (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea), dettate all’autore da un figlio di uomo apparsogli glorioso fra sette candelabri d’oro; la seconda è di carattere profetico-escatologico (4, 22). Questa seconda parte rappresenta il centro essenziale dell’opera, e comprende due visioni parallele: la prima visione riguarda i destini del mondo, la seconda concerne l’avvenire della Chiesa. La prima visione si apre con la presentazione del trono di Dio e dell’Agnello vittorioso (5, 1-14), e s’incentra in due motivi: l’apertura dei sette sigilli (6, 1; 8, 1), simbolo della preparazione in celo dei flagelli che colpiranno il mondo )dal primo sigillo usciranno i famosi quattro cavalli), ed il suono delle sette trombe (8, 2; 11, 189, che significano l’esecuzione di quelli sulla terra. La seconda visione inizia con una duplice vicenda: in cielo la lotta del dragone (Satana) contro la donna (che rappresenta il popolo eletto) (12, 1-18 ), e sulla terra le due bestie (simboleggianti l’impero romano ed i falsi profeti) (13, 1-18 ); a questa duplice scena si contrappone l’apparizione dell’Agnello sul monte Sion, seguito dallo stuolo dei fedeli (14, 1-5). Il giudizio escatologico è espresso da varie figurazioni: i sette flagelli e le sette coppe (15-16), segue la condanna della grande meretrice (Roma, novella Babilonia) (17-18 ), quindi la vittoria sulle bestie (19, 11-21) e sul dragone, con cui s’inaugura il regno millenario di Cristo (20, 1-10), ed infine la vittoria definitiva sul male (20, 11-25), che si conclude con la visione della Gerusalemme celeste (21, 1; 22, 5).