Sulla coda di questo difficile 2015, ormai alle spalle ed al sorgere di questo 2016, come sulla scia di una cometa, sono qui a scriverti cara Befana…ti scrivo perché, anche se in quelle notti lontane di bambina, non sono mai riuscita a vederti, ma ti ho sempre immaginato con le fattezze delle mie due nonne, quindi una tenera vecchina d’altri tempi, ma forte e con un cuore grande come il mondo. So che quando stanotte entrerai nelle nostre case, questo tuo grande cuore si stringerà un po’.
Vedrai famiglie diverse da quelle che ti eri abituata ad incontrare alcuni anni fa. No, non parlo, solo, di famiglie allargate, coppie di fatto, nuclei arcobaleno. Quelle che vedrai sono famiglie sparpagliate dalla crisi, in cui non esistono più ruoli definiti: padri che non possono più mantenere i bambini, perché hanno perso il lavoro; nonni che non hanno diritto alla pace della vecchiaia, perché devono mantenere i figli; genitori, giovani alti e forti, resi però fragili dalla paura del domani. Padri che non sono più padri e figli che non sono più figli. Il cancro della crisi si è esteso e la fascia media, quella che in alcuni Paesi è stata già falcidiata, non è più al sicuro nemmeno nella nostra Italia. Ci guardiamo intorno spauriti, in cerca di quegli ammortizzatori sociali, del grande ombrello del Welfare sotto al quale qualcuno - in condizione di reale indigenza - ha trovato riparo negli anni passati; mentre qualcun altro ha abusato di quello che credevamo tutti uno Stato assistenziale da mungere fino al midollo. E adesso brancoliamo nel buio ed abbiamo paura, senza alcuna rete sociale che non sia la famiglia: una famiglia composta soprattutto da quelle persone anziane, che la modernità cercava di relegare in disparte, come fascia improduttiva - non giovane, non bella, non efficiente - e che ora, da peso e zavorra, sono diventate improvvisamente la nostra rete di Welfare.
Cara Befana, chi prima poteva mantenere i propri bambini e forse anche i vecchi genitori, adesso vede messo in discussione il proprio ruolo e ritorna allo stato di figlio, in cerca di protezione e chi ancora ce la fa, si sporge sull'orlo del baratro, in attesa che qualcuno gli comunichi che non farà più parte della società produttiva. Il senso di devastazione è pari al bisogno di ascolto e di solidarietà. Nessuno è più al sicuro. E' quindi possibile, cara nonnina Befana, che visitando le nostre case assisterai a scene che non vedevi da molti anni. Dopo innumerevoli Natali improntati al consumismo, alla fretta, allo scambio di regali quasi fossero merci, vedrai di nuovo persone intorno alle tavole apparecchiate - non trovo appropriato il canonico e abusato aggettivo imbandite - cercarsi e ritrovarsi. Qualcuno di noi rovisterà nella propria famiglia in cerca dell'antico senso dello stare insieme quasi possa trattarsi di un vecchio puntale accantonato in un baule; domanderemo ai nostri cari sostegno emotivo e riparo dal freddo della vita; ci scambieremo conforto e appianeremo i nostri sterili contrasti, dimenticandone il senso; qualcuno fingerà che vada ancora tutto bene e sarà il fulcro della famiglia e della festa; molti si arrabbieranno in cerca di ciò che non tornerà più; potrai vedere anche chi troverà il coraggio di parlare dell'ansia che ha in petto, perché dopo una certa non saprà dove andare; e troverai persone insospettabili partecipare ai pranzi della solidarietà, dalla parte di chi ha bisogno, ma anche da quella di chi ha voglia di dare una mano agli altri.
Cara Befana, il nostro mondo è definitivamente morto. Non siamo stati sterminati come razza umana: ad essere giunto al declino è un sistema di vita senza alcuna misura. Esiodo parlava di hybris, la tracotanza, il superamento del limite di cui si macchiavano gli esseri umani, che scatenava necessariamente la némesis, in greco la vendetta degli dèi, l'ira, lo sdegno e la loro terribile punizione. Credo che tutti noi ci siamo macchiati di questo crimine. Non intendo cercare responsabilità: non io. Ma mi piacerebbe che tutti abbassassimo i toni e facessimo silenzio, che ci abbandonassimo ad una riflessione intimistica, sincera quanto spietata e laica, sui nostri peccati.
Mi piacerebbe che tutti i potenti, nella consapevolezza di aver rubato e sottratto risorse a questo Paese, facessero un esame di coscienza e si rendessero conto che hanno impoverito la vita delle persone, che - come il proverbiale Uomo nero - hanno portato via i regali di Natale a molti bambini, hanno tolto speranza e futuro a tutti noi. Ognuno di loro dovrebbe sentirsi responsabile ed accendere una candela per ogni proposito di cambiamento, anche uno soltanto. Basterebbe così poco. Una candelina per tornare a sistemi di vita più equilibrati; una per assestarci tutti su una crescita più equa, giusta e solidale; una per tornare alle buone regole ed all'onestà; una, magari due, contro la corruzione; una per limitare lo spreco; una di sobrietà; una, magari anche qui due, di silenzio; e ancora una, magari dieci, per una politica che sia di servizio e di altruismo.
Anche io voglio accendere la mia, cara Befana, e vorrei che la portassi nelle case di quanti stanno soffrendo in segno di augurio e di pace: per un 2016 senza violenza, in cui l'amore puro torni ad essere rispetto per l'altro, per il bene pubblico e per una nuova solidarietà, che restituisca a tutti noi la speranza in un domani migliore.
Grazie Nonna Befana.
Luna