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Dove la magia è amore universale, umiltà e ascolto...la magia svelata, per il benessere dell'anima.E' come se in un attimo sbocciasse la vita, laddove prima c'erano solo silenzio ed immobilità.
 
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 LE VIE DELL’ESTASI

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MessaggioTitolo: LE VIE DELL’ESTASI   LE VIE DELL’ESTASI EmptyMer Giu 29, 2011 1:34 pm

Estasi, trance, uscita dal corpo, annullamento del Divino, illuminazione…a tutti questi stati differenti di elevazione mistica, l’India ha dato un unico nome: “ananda”, cioè beatitudine interiore. Per cui, possiamo dire che l’ananda è il sommo bene, il più alto piacere dell’anima, che si libera dai vincoli del corpo, si perde finalmente nella contemplazione dell’Assoluto. Pur nelle diverse forme dell’esperienza religiosa, è la meta dello yoghi come del buddhista, del monaco zen o sufi e dell’ hasid ebreo come del mistico cristiano. “Beata solitudo, sola beatitudo” (Beata solitudine, beatitudine sola) diceva nel Medioevo il monaco cistercense Bernardo da Chiaravalle. Sì perché per raggiungere l’ananda occorre distaccarsi dal brusio del mondo, far tacere le parole umane e concentrarsi sul dialogo con il Tu divino interiore.
Ma vediamo come viene ricercata l’ananda nei vari Paesi o nelle varie filosofie religiose.

INDIA – Il più grande mistico dell’India moderna, Ramakrishna (1836-1886) yoghi e sacerdote shivaita, raggiunse l’estasi per la prima volta a sei anni. Nell’estate del 1842 camminava fra le risaie quando, alzando gli occhi al cielo, vide un volo di gru bianche che copriva una nuvola scura. Il contrasto di colori gli fece perdere i sensi. Quando si destò, disse di aver provato una gioia mai provata prima. Ramakrishna divenne un devoto della dea Madre Kalì. Dai vent’anni in poi crebbe in lui la tendenza all’estasi (samadhi) che gli consentì di cogliere il senso delle grandi religioni: esse sono punti di vista diversi di un unico Assoluto, il Brahman. Nell’estasi, il corpo di Ramakrishna era immobile, il polso impercettibile, le palpebre socchiuse. Restava così per pochi minuti o per ore, finchè la Madre Divina gli dava forza per ritornare nel corpo, per aiutare l’umanità. In uno di questi momenti concepì i versi: “Fammi morire, o Madre, soltanto con il tuo santo nome sulle labbra”…Faccio notare la forte analogia tra la Dea Madre e la Madonna, tra le estasi di Ramakrishna e dei pastorelli veggenti (Lourdes e Fatima).

GIAPPONE – L’Illuminazione buddhista, invece, non è un’esperienza dell’anima, ma della mente. E’ il maestro che crea la circostanza adatta a fare in modo che la ragione intuisca la verità spirituale. In Giappone, i seguaci dello Zen chiamano questa esperienza “satori”, che indica il risveglio, cioè una presa di coscienza che arriva dalle piccole cose e non dall’isolamento, ma dalla partecipazione al mondo esterno. E’ un’improvvisa, sorprendente rivelazione sulla realtà che ci circonda. Le storie zen ci aiutano a capire meglio. Una di queste narra che un giovane monaco domandò al maestro Joshu di essere introdotto alla dottrina zen. Il maestro disse. “Hai fatto colazione?” “Sì maestro, l’ ho fatta” rispose il ragazzo. “Allora lava le tue ciotole” (chi era nel vecchio forum sa cosa si intende per lavare la propria ciotola, ma presto lo sapranno anche i nuovi utenti…) Quest’ordine aprì la mente del monaco al satori. Un’altra storia zen racconta di quando il monaco Tokusan andò dal maestro Ryutan per essere istruito sul Libro del diamante (uno dei tre libri buddisti della sapienza) “Vieni dentro” gli disse Ryutan. “Ma è buio” Il maestro accese allora una candela. Tokusan stava per prenderla, quando il maestro la spense. In quell’attimo, la mente del monaco raggiunse il satori.
Il satori è l’intuizione del Nirvana, il fine ultimo della vita, che irrompe nel quotidiano. Il satori equivale a ciò che l’Occidente definisce “excessus mentis” ossia l’uscire della mente per intervento della Grazia Divina.

MONDO CRISTIANO – In ambito cristiano, il primo a sperimentare l’estasi su l’apostolo Paolo. Parlando di sé scrive, nella seconda lettera ai Corinzi “Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori dal corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. (…) Fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare”. Paolo fu il primo di una lunga schiera di Santi a cui apparve Gesù risorto. Tra loro si ricordano Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola (che dalla visione di Cristo, povero ed insultato, ricevette l’impulso a fondare l’Ordine dei Gesuiti), Teresa d’Avila, Suor Faustina Kowalska. L’esperienza estatica è molto ricorrente anche nella mistica cattolica contemporanea, specialmente nei movimenti carismatici. Essa non è una conquista umana di chi prega, ma una Grazia, un Dono del Cielo.

TURCHIA ED IRAN – Anche per il movimento sufi dei Dervisci Roteanti, diffuso in Turchia, Egitto, Iran, l’estasi non è mai frutto di una conquista personale, Anzi il vero mistico, come sosteneva Ibn Arabi, grande maestro dell’esoterismo islamico, non cerca l’estasi, ma l’amore di Dio, l’unione intima con Lui. Così come il mistico prega e medita, il derviscio roteante si abbandona ai vortici della danza per sopprimere le zone oscure dell’anima e far risplendere la Luce Divina. Danzando, raggiunge la fana, ossia l’annullamento dell’io, realizzando la massima sufi: “Io sono colui che amo e colui che amo sono io”. In passato, i dervisci egizi si sottoponevano in pubblico a pratiche di automortificazione (si conficcavano spilloni nelle guance) per provare il loro stato di trance. Oggi la danza sufi ha un aspetto per lo più folkloristico.

MONDO EBRAICO – Nel movimento ebraico Chabad, erede della Qabbalah, l’estasi si manifesta con il “divampamento” ossia una sorta di movimento epilettico simultaneo alla fase di preghiera.

CHI FU IL PRIMO A COMPIERE UN VIAGGIO DELL’ANIMA IN TRANCE? – Fu uno sciamano siberiano, mago, sacerdote e guaritore insieme, capace di scalare l’Albero del Mondo, ossia l’asse di collegamento tra Cielo, Terra ed Inferno. Con l’aiuto di sostanze allucinogene, compiva un volo invisibile per recuperare l’anima del malato rapita dagli spiriti cattivi. Lo sciamano chiamava il suo totem, lo spirito del suo animale protettore, per evocarlo si serviva di un tamburo, ci saliva a cavalcioni e lo suonava ripetutamente, prima di cominciare il viaggio. Poi si arrampicava su un palo di betulla che aveva 9 rami, su cui lo sciamano vedeva i bambini in attesa di nascere o i malati pronti a lasciare la Terra. Al quinto ramo parlava con il dio del futuro. Al sesto si inchinava davanti alla Luna, al settimo davanti al Sole. In cima all’albero, lo sciamano sbucava dal foro centrale della tenda, creata sul palo, urlando il nome del grande dio Bai-Ulgan, il dio della fecondità e protettore degli essere umani.


FONTE DI RIFERIMENTO PER QUESTO ARGOMENTO: un articolo di Goffredo Belli
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